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NELLA VALLE DI ELAH
(IN THE VALLEY OF ELAH)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 31 dicembre 2007
 
di Paul Haggis, conTommy Lee Jones, Charlize Theron, James Franco, Susan Sarandon, Jonathan Tucker (Stati Uniti, 2007)
 
Il film di Paul Haggis era fra i più attesi all'ultima Mostra di Venezia. Et pour cause; sceneggiatore di Clint Eastwood, da MILLION DOLLAR BABY al capolavoro antimilitarista LETTERE DA JIWO JIMA, esordiente piuttosto clamoroso da regista cinquantenne, nel 2004, con CRASH che si aggiudica subito un Oscar (per la miglior sceneggiatura).

Ora, com'e' probabilmente giusto, questa storia, sensibile, dolorosa, illuminante di un veterano del Vietnam che parte alla ricerca del figlio reduce dall'Irak non nasce, come tutti al solito pigramente ci attendiamo, nella diretta filiazione del film precedente. Non sui binari di un genere poliziesco, anche se segue l'inchiesta di un padre che indaga sulle ragioni di quella apparentemente inspiegabile scomparsa dalla base militare nel New Mexico. Ma nemmeno su quella del film di guerra: della quale vedremo solo poche tracce su uno schermo di telefonino. Piuttosto, su qualcosa di assai più stimolante, oltre che commovente: le ricadute della guerra nei tempi di cosiddetta pace. Conseguenze politiche, sociali, psicologiche: che il cinema americano non affronta di certo per la prima volta con questo film dalla drammaturgia in definitiva tradizionale. Ma conseguenze per un padre come quell'immenso Tommy Lee Jones, una maschera, una gestualità che s'imprime nella memoria, che traduce il messaggio del film oltre una sua eventuale, predisposta funzionalità: veterano del Vietnam, dignitoso e virile servitore di miti ancestrali, rispettoso di un ordine che sempre più arrischia di venire confinato alla cura minuziosa con la quale ripone le camicie nella valigia da portarsi al motel. È lui il colpevole di avere inviato i propri figli ad affrontare il gigante più perverso che l'uomo abbia cavalcato da sempre, quel Golia da affrontare nella valle di Elah del titolo, con le stesse povere armi, lo stesso viso aperto che, nel proprio strazio, anima ora la propria crescente incredulità? Più prosegue la sua inchiesta, sulle tracce delle risposte evasive e fuorvianti che giungono dal sistema militare, meno ne sapremo. O, meglio, meno ne sapremo in termini polizieschi; sempre di più, in quelli di ricadute morali di una realtà più banale, più tragicamente normalizzata del previsto. E' una delle ragioni per le quali NELLA VALLE DI ELAH assomiglia si e no a CRASH.

Si, perché a tratti sembra di essere in uno dei grandi film eroico-melanconici di Eastwood. Per la presenza, all'immagine di quella Clint, di una icona forte e dolente dell'America dagli eroi che si interrogano. Per il tono, sereno nella maturità ma vibrante nell'emozione; per quel contenitore dalle tinte slavate, dalle rigide geometrie che così poco concede all'aneddoto dello sfondo per conferire un significato più universale alla propria riflessione.

E no, poiché è l'inchiesta dell'intimo a svolgersi in modo del tutto diverso da quella di CRASH. Là, si giungeva alla verità grazie ad un itinerario corale, fatto di accostamenti di situazioni che costringevano i personaggi a confrontarsi, a rivelare la relatività delle apparenze. Qui, la progressione, anche se come in precedenza praticamente in tempo reale, avviene in un crescendo lineare: quasi a rispettare, nella sua semplicità razionale il dramma che si sta svolgendo nella coscienza dei protagonisti. Quello nato da una guerra che modifica l'integrità morale di chi ha dovuto viverla. Ma nel contempo finisce per scardinare l'ordine morale di chi l'ha voluta. Che non solo elimina chi ci muore, ma uccide per sempre chi ci sopravvive.


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